ROMA 46 D.C. VENDETTA di Adele Vieri Castellano
Contraccambiare il male ricevuto con il male peggiore. Questo è ciò che
ha spinto un uomo misterioso a compiere l’atto più nefando. Marco Quinto
Rufo questa volta non dovrà combattere guerre, né affrontare feroci
barbari ai confini dell’Impero, perché la vendetta ha bussato alla sua
porta e pretende un tributo di sangue. Non il suo, né quello di sua
moglie ma quello di un essere indifeso che il vile, oscuro, nemico gli
ha sottratto. Lui che non teme nulla e nessuno dovrà affrontare il Male
Supremo, faccia a faccia, in una partita a due che avrà un solo
vincitore ma non un solo protagonista. Perché in quei giorni oscuri e
terribili, l’amore riuscirà a sconfiggere l’odio e un suo germoglio
nascerà nel cuore dell’arciere siriano Arash Tahmurat…
“Marco Quinto Valerio Rufo ti dice niente?”
Personalmente è una garanzia. Il senatore romano, ma prima ancora il
legionario, un guerriero, la cui forza e intelligenza traspaiono ad ogni
movimento. Fin dall’inizio Rufo ha affascinato oltre che per il suo
aspetto, soprattutto per il suo carattere e per il gran cuore che in
questa occasione viene messo davvero a dura prova.
Rufo è abituato alle battaglie crude e intense, quelle in cui ha
guardato in faccia la morte tante volte e altrettante l’ha domata
lasciando ai suoi nemici il privilegio di assaporare l’amaro abbraccio.
Lo abbiamo conosciuto, all’inizio di questa meravigliosa serie, come
guardia del corpo di Caligola, e una volta a Roma, si è lasciato
catturare dalle spire dell’amore. Livia lo ha stregato, fin da subito,
riuscendo alla fine ad ammansire il lupo.
Rufo è il capo indiscusso anche quando veste la toga da senatore e parla
all’imperatore Claudio come se fosse un suo pari. Si è guadagnato il
rispetto del divino Cesare con l’onestà e la lealtà, e con esso anche
l’invidia dei suoi pari.
Rufo è un marito fedele, un padre amorevole che diventa spietato e senza
misericordia quando affronta il nemico. Quando è chiamato a combattere
la battaglia più aspra, non delude. Si rivela marito compassionevole e
padre ferito alla costante ricerca di riprendersi ciò che gli è stato
tolto e salvare quello che gli rimane.
Tutto precipita all’improvviso: la notte avvolge la casa del senatore e
la gelida e spietata mano del nemico arriva a colpire proprio al cuore
della sua famiglia, in maniera inaspettata. Non ci può essere un orrore
peggiore della perdita di un figlio, lo comprende bene Rufo ma ancora
meglio Livia. Nel suo dolore composto appare maestosa e decisa. Non
abbandona l’idea di essere sconfitta, la sensazione di aver perso una
parte del suo cuore non la sfiora che per alcuni momenti. Il suo primo
pensiero è quello di lasciarsi morire, è comprensibile, ma subito dopo,
grazie anche al supporto del marito, reagisce come solo una madre sa
fare. Dopo il primo lungo attimo angosciante in cui il mondo scompare,
la vita perde ogni significato e non esiste alcun appiglio cui
agganciarsi per restare, c’è sempre l’amore, incondizionato e disperato,
la roccia su cui salire per prendere fiato e ricominciare a sperare.
Rufo e Livia vivranno momenti d’angoscia e di tensione, ma mai saranno
abbandonati dalla speranza e dalla forza dell’amore che li spingerà ad
andare avanti uniti come non mai.
“Fa di me ciò che vuoi, non mi importa. Ma sappi che, se mi
impedirai di seguirti, richiudendomi da qualche parte, non ti perdonerò
mai. Hai capito, Marco Quinto Rufo? Mai.”
Ben presto il suo cuore palpiterà non solo per l’ardore della lotta, ma
anche per l’amore puro e incondizionato nei confronti di una fanciulla,
un’eletta. Mirta, questo è il suo nome, vittima inconsapevole della
cattiveria umana, si adopererà affinché la colpa della madre venga
cancellata e lo farà con coraggio, tipico delle donne del panorama dei
romanzi storici della Castellano. Dalla crisalide dell’innocenza, ben
presto scaturirà una donna determinata che per amore e per giustizia si
trasformerà nell’eroina del romanzo. I due protagonisti scopriranno pian
piano quanto sia inspiegabile e forte il sentimento che li legherà per
sempre.
“Ti domandi perché il sole sorge, i fiumi vanno verso il mare o perché la luna illumina la notte?”
C’è poi la piccola Valeria che incarna i pregi e le doti dei suoi
genitori. Lontana dal suo ambiente e dai suoi cari, vive la sua
avventura senza perdersi d’animo.
Per la prima volta, da quando ho memoria, devo ammettere di non aver
incontrato nel personaggio negativo niente di affascinante. Impossibile
quando ci trova davanti al malvagio per eccellenza, perché non c’è nulla
di attraente in un disgraziato, passatemi il termine, che rapisce un
bambino. Allora ci si esalterà alla fine e magari ognuno di noi si
immedesimerà in Rufo immaginando i modi più atroci possibili in cui la
mano possa distruggere l’infame.
La forza dell’amore così come la fede e l’amicizia sono le componenti
che animano la storia che si snoda attraverso dialoghi e sensazioni che
ci colpiscono e ci prendono fino al sospirato epilogo. A proposito
dell’epilogo, sono ansiosa di rivedere Messalla e Raganhar e affermo che
anche io, come il principe germanico, non ho dimenticato la notte da
Calpurnia, ma per alti motivi, ovvio.
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